Non
ci si lascia di giorno
Nessuno innaffiava
più la felce da diversi giorni e il caldo era opprimente. Marta e
Andrea avevano i gomiti appoggiati alla balaustra e guardavano la
gente passare, quasi venti metri più sotto.
– Mi hai molto
deluso, sai Andrea?
– Perché ti ho
lasciata?
– No. – rispose
Marta, voltandosi verso di lui - Perché lo hai fatto di giorno. Non
pensavo che avessi così poca stima di me.
Andrea deglutì,
imbarazzato. La decisione e la fermezza che avevano accompagnato il
suo studiatissimo discorso di commiato ora facevano compagnia alle
foglie secche della felce, che il vento fresco stava sgretolando e
trascinando fuori dal balcone.
Marta tornò alla
carica.
– Luca avrebbe
potuto lasciarmi di giorno, Paolo forse. Ma da te non me lo aspettavo
proprio. All’alba, al massimo, avrei capito. Ma non così. Cosa ti
costava aspettare il buio? – adesso era veramente furiosa. – Così
me ne potevo andare piangendo, senza che nessuno mi vedesse, senza
dover pensare al sudore sulla fronte o a schivare le vecchiette in
bici. Perché bisogna concentrarsi sul dolore, non lo si può
perdere, così, perché poi non torna più!
Ecco, adesso inizia
a gesticolare, pensò Andrea.
– E pensa tornare
a casa con mia madre che mi chiede cosa ho fatto e io che le dico
niente, e allora lei si incazza con me e litighiamo e io esco. Sì,
esco e dove cazzo vado alle due del pomeriggio? Sara è al lavoro, i
negozi sono ancora chiusi, non ho abbastanza fame da annegarmi di
dolci…
Ok, ho capito, pensò
Andrea.
Evidentemente la sua
faccia tradiva questa cosa perché Marta interruppe l’arringa e lo
guardò, disgustata.
– Ti sei persino
rotto di starmi a sentire.
Ha ragione, pensò
Andrea, e si vergognò.
– Sarai contento
adesso. Guarda in che situazione siamo!
Perché? In che
situazione siamo?
– Adesso devo
aprire la porta a vetri, tornare di là, prendere la borsa, mettermi
le scarpe… Proprio sul balcone di casa tua dovevi dirmelo? – e
sbuffando se ne andò, continuando a farfugliare parole che Andrea
non poté assolutamente comprendere.
Decise di non
seguirla, per salvare quel po’ di faccia che gli rimaneva. La
immaginò recuperare la sua roba, mentre continuava a borbottare. La
sentì sbattere la porta e scendere di corsa le scale.
Si affacciò di
nuovo dal balcone e la vide inforcare la bicicletta e perdersi tra la
folla della piazza. In breve tempo non riuscì più a distinguerla.
Il suo cellulare
squillò. Un messaggio. Marta.
Potevi almeno
seguirmi, per salvare quel po’ di faccia che ti rimaneva.
L’ombrellino rosso
di carta conficcato ai piedi della selce si stacco e schizzò oltre
la balaustra. Ma non precipitò, o almeno non subito. Il vento fresco
lo sorresse e lo portò in alto. Lo fece roteare un paio di volte,
aprire e chiudere. Poi giunse la bonaccia.
Sono uno stupido,
pensò Andrea, un imbecille!
La prossima volta la
lascerò di notte.